Il raschiamento del barile è iniziato da poco, con la battaglia delle cifre. Verrebbe voglia di star zitti e di passare oltre, ma il modo in cui tutta l’opinione pubblica si sta dividendo su questa vicenda del Family day ha del grottesco e, come sempre in Italia, ha assunto toni da stadio.
Ho scoperto, incredibilmente, che esiste addiritturaun pdf del decreto della discordia, il decreto Cirinnà, che possono leggere tutti. Chi quindi è stufo di farsi spiegare da qualcun altro cosa dice lo può controllare di persona.
Io l’ho fatto. Son 16 pagine, ho sprecato tempo in modi peggiori. Sarebbe bello tutti (di qualsiasi “curva” siano) lo facessero e tutti prendessero atto del fatto che oltre a parlare di diritti parla anche di doveri.
Non ho capito bene cosa sia successo, era la solita passeggiata del mattino, ma ho visto qualcosa, un cane forse, e mi sono messa a correre come mai avevo fatto prima, mi sono sentita libera. Ho sentito un botto e mi son trovata per terra, non riuscivo ad alzarmi, il mio padrone era sopra di me e urlava il mio nome, infine tutto bianco.
Quando ho rimesso a fuoco ero su un prato verdissimo, c’era un bellissimo sole su un cielo azzurro pieno di quegli uccelli che tanto mi piace inseguire. Ad un certo punto ho sentito una voce.
“Ven chì, Bliss!“.
Mi sono girata e dietro di me c’era il mio padrone, o almeno così sembrava, seduto su una panchina di legno, sul tavolo un bicchiere con dentro quella cosa che piaceva al mio padrone ed a terra accucciato un altro cane nero, che abbaiava.
La voce era molto simile e mi sono avvicinata senza paura, ma la faccia aveva qualcosa di diverso. I baffi, gli occhi… Non so. Il sorriso però era quello. Quando poi mi ha carezzata ho capito che le mani in qualche modo erano le sue, solo più grosse.
Mi sono sentita a casa.
Mi sono accucciata toccandogli i piedi col mio sedere come facevo sempre con il mio padrone. Allora lui ha detto “Adesso dobbiamo aspettare”. Ho capito che era un po’ che lui lo stava facendo, ma sorrideva. “Dobbiamo aspettarlo per spiegargli tutto”.
Ho guardato in cielo ed ho visto il mio padrone, quello vero, che piangeva. Un po’ mi è venuto il magone, ma quel signore mi ha detto “Pensa che quando me ne sono andato io non ha fatto tutte quelle scene, l’è dre diventà un figheta”.
E poi ha riso.
Si sta bene qui, anche se quell’altro cane nero abbaia. Poi lui le dice “Luna, taas!” e lei la smette. E’ simpatica. Sarò qui pronta quando arriva. Dovesse volerci una vita.
Tutto nasce sempre da due parole del mio padrone: Solo bene! E quando le pronuncia spalanca le braccia, abbassandosi. In me scatta qualcosa. Anche se sono sdraiata, ossia la cosa che mi piace di più al mondo, mi alzo, e corro verso di lui.
Quella cosa che lui mi fa ho sentito chiamarla “Abbraccio” e per me che sono un cane è molto particolare.
Già perché il nome stesso di questa cosa prevede esistano delle “braccia”, che io non ho. Ho solo quattro zampe. Così devo compensare. Mi avvicino a lui e, se non cade, gli appoggio la testa sulla spalla, piegandola.
Quando poi sono tanto tanto felice gli lecco l’orecchio.
Lui lo ripete: “Sei solo bene Bliss!” ed in quel momento lo capisco: zampe o no, io l’ho abbracciato.
Ogni giorno la storia si ripete. 6:30, massimo 7:00, o giù di lì. Si esce ed arrivati al prato il mio padrone mi butta la pallina.
Sono finiti i tempi in cui non avevo voglia di inseguirla e la mia pigrizia (che, come spiegano i libri di etologia è genetica) mi dominava… Oggi ho maturato una tecnica sopraffina che ho deciso di condividere pubblicamente.
La tecnica è questa: spingo con le zampe dietro e faccio un balzo in avanti, incominciando così ad accumulare velocità. A questo punto identifico la pallina, e la velocità aumento… Insieme ai problemi, che tra l’altro hanno un nome ben preciso: culone. Infatti quel coso che ho dietro mi fa sempre dondolare e rischia di buttarmi per terra costantemente.
In effetti a pensarci, anche la lingua che va dappertutto un po’ mi distrae.
Per non parlare del discorso zampe. Ho provato ad osservare quei miei simili che si chiamano levrieri, per ispirarmi. A quegli sbruffoni pare tutto facile, tutti filiformi, coordinati. A me ste zampe vanno dappertutto, dopo un po’ non si capisce più niente.
Come esco da tutto questo casino? Avvicinatevi, ve lo svelerò sotto voce…
Mi butto per terra.
Sdraiata.
Astuta, eh?
Già, perché la cosa più importante della corsa è il riposo. Sta qui il trucco. Non faccio mai più di trenta metri senza riposarmi. Ma è un riposo attivo, mica come in passato. Tipicamente mi rotolo per terra e mi impano di erba, nella speranza che la sera prima abbia piovuto o che comunque ci sia sufficiente umidità da inzupparmi.
Agli umani sembra di vedermi paciosa, rilassata, in sostanza… Buona. Li sento. “Ma è un batuffolo!“, “Com’è tenera!” e via di apprezzamenti di questo tipo. Ma si sbagliano. Non è quella la mia natura. Dentro di me si nasconde una belva feroce che non lascia spazio a dubbi. Quando la natura si impossessa di me ritorno al mio io ancestrale. Una cacciatrice spietata che nei boschi si muove furtiva, al richiamo della foresta.
Ho mietuto numerose vittime. Le prime sono state quei maledetti affari che gli umani si portano all’orecchio, il mio padrone continuava a ripetere “270” e poi “euro“, l’ho preso per un grazie. Poi ci sono quelle cose che si mettono ai piedi. Non ne è sopravvissuta neanche una. Le faccio a pezzetti anche se implorano pietà urlando “gniiiiic“.
Certe volte non riesco proprio a trattenermi e se vedo girato qualcuno del mio branco gli morsico il sedere. Stamattina il mio padrone mi ha ringraziato con una carezza.
Me le ricordavo più dolci.
Infine c’è il mio nemico definitivo. Lui. Donatello, il martello. E’ un’arma del mio migliore amico, quello piccolo a cui lecco la faccia. Dice cose come “Sono Donatello sono proprio un bel martello” e più lo azzanno e più parla. Stamattina alle 5 è stata una battaglia durissima. Più lo azzannavo, più parlava.
E’ un osso duro.
Ora per esempio è lì che mi guarda.
Spetta solo che mi alzo e poi vedi “Donatello il martello” che fine gli faccio fare. Spetta che l’istinto prende il sopravvento… Certo che con sto caldo… Vabbeh dai, Donatello, uno a uno.
Questa storia degli umani che devono dare un nome ad ogni cosa non la capirò mai. Quando devono chiamarsi non abbaiano, dicono invece cose come Raoul, Cristina e via così, che bontà loro non significano nulla.
Con mia mamma ed i miei fratelli non c’è mai stato bisogno di chiamarsi. Se mi sentivo leccare la testa, potevi esser certo che era la mamma. Se invece mi mordicchiavano l’orecchio allora era uno dei miei fratelli. Semplice, no?
Per gli umani, no.
E così a quanto pare hanno dato un nome anche a me.
Lo sento pronunciare ogni volta che mi muovo vicino a qualcosa. Ad esempio, se il mio migliore amico sta mangiando e mi avvicino, mi chiamano. Se quando cammino per strada mi metto a mordicchiare una lattina, mi chiamano. Se quando iniziamo a giocare morsico con questi dentini (che fastidio mi danno!) la mano del mio padrone, mi chiamano.
Hanno proprio un’ossessione con questi nomi e, detto in sincerità, me lo sto chiedendo da sempre: che razza di nome è “No! Bliss!” ?
Devo fare una confessione. Sono da sempre appassionato di fumetti, ed un pochino di cultura in merito penso di essermela fatta, eppure, dopo ieri, devo ammettere di avere ancora delle enormi lacune.
Miracleman 1 – Edizioni Panini Comics
Cosa è successo ieri? Semplice, ho letto l’ultimo numero della serie Miracleman che Panini Comics ha pubblicato partendo dall’omonima edizione Marvel in America.
Mi piacerebbe raccontare come il mio migliore amico sia l’umano che mi porta fuori la mattina, oppure l’umana che mi spazzola la sera, oppure quei due piccoli umani che ogni tanto mi fanno giocare, ma se devo essere sincero, il mio umano preferito, il mio migliore amico, è quello che da poco ha iniziato ad andare a due zampe.
L’amicizia umana è complicata, ma quella animale no. Si traduce in una sola parola: cibo. E questo mio amico ne ha sempre intorno. Profuma anche, di cibo. Soprattutto i capelli, che mi lascia leccare senza lamentarsi troppo.
La nostra amicizia è minata dagli altri umani, che mi dicono sempre di stare lontana. Anche lui da poco ha iniziato a dirmi “Uuu! Issss! Biaaaa!“, e credo significhi “Ti voglio bene“.
Ma è giusto così, devo capire che non si può stare così addosso alle persone, devo capire che anche se intorno al mio migliore amico c’è sempre cibo questo non mi autorizza a rimanere perennemente con la testa appoggiata al suo seggiolino. Ho quattro mesi, peso venti chili, è ora di crescere… Hei, aspetta, è un biscotto quello?
Io avrei anche voglia di correrle dietro. Anzi, quando è mattina presto e il parco è vuoto non sto più nella pelle. Allora guardo lui, che tutto entusiasta carica il tiro, mi chiama e… Lancia!
Vedo la pallina partire.
Quanto entusiasmo. Quanta voglia. L’ho detto: non sto più nella pelle.
E così parto. Una, due galoppate e poi sento quei fili d’erba colpirmi le zampe e decido di morderli. La cosa mi fa rallentare un po’, ma diamine, son così buoni.
L’obiettivo però è ancora la, lo vedo! Eppure… questa cosa che mi svolazza intorno… Com’è che l’ha chiamata? Farfalla? Sì, farfalla.
Lasciami stare che devo inseguire la mia pallina! Uhm… Uhm… Vieni qui, dove vai? Provo a saltare ma cavolo se è in alto ormai. Dio che stanchezza. Ho bisogno di riposarmi un po’.
Aspetta.
Cos’è che stavo facendo?
Ci sono giorni in cui ti sembra che il peso ti schiacci. Parlo del peso delle giornate, della fatica di fare, dell’equilibrio di bilanciare cosa è meglio per il lavoro, cosa è meglio per la vita. Troverò il tempo per? Non è da troppo che son seduto sul divano? Non è da troppo che sto lavorando?
Ci sono giorni così, col dubbio di non stare facendo abbastanza, di non investire nei sogni, di non credere più ai miracoli.
Ci sono giorni così, ma oggi non è uno di questi.