Il secondo giorno in cui stavo camminando sul London bridge per andare al lavoro, o meglio nel posto in cui quella settimana dovevo lavorare, mi sono accorto che avevo accelerato come gli altri.
Già, perché il primo giorno sei un alieno, guardi il Tower bridge, i grattacieli e cerchi di farti meravigliare. Non essendo però una gita di piacere, avresti solo voglia di tornare a casa.
Il secondo giorno però, avviene già la metamorfosi e ti ritrovi londinese. Ed i londinesi scheggiano. Se non stai attento ti travolgono.
Fiumana, sciame, chiamalo come vuoi. Ma ci sono veramente tantissime persone che da casa loro, usciti dalla metro o scesi dal bus attaccano a caricare ad un ritmo forsennato. Senza contare tutte le componenti che fanno girare l’ingranaggio. Netturbini, autisti, negozianti, commessi, assistenti del traffico, della metro, dei BUS. Tanti, tantissimi. Londra non perde tempo.
Così, il fantomatico secondo giorno ho fatto caso che per tenere il passo avevo accelerato. Non so altri, ma personalmente quando vengo superato mi girano le palle. E’ una cosa istintiva, inevitabile, inconscia. E via di corsa.
Sei giorni a stare attento a non perdere il passo, la metro, l’aereo o le parole.
Ne sono uscito piuttosto stanco. Anzi, esausto. E con qualche riflessione. La prima, ad esempio, candida: non c’è speranza per il nostro pianeta. Non lo dico da depresso cronico, pessimista o demagogo. E’ un’analisi oggettiva: non ce n’è per tutti. Siamo troppi e consumiamo, pro capite, troppo. Chiaro che in un posto dove trovi tre persone per ogni metro quadro la cosa salta più all’occhio. La quantità di cibo, energie e sopratutto rifiuti è troppa. Hai voglia ad ogni angolo vedere un addetto che raccoglie la carta da terra, ma quella carta finirà in un sacchetto, in un cestino e poi… Chissà.
Io intanto continuo a spegnere tutto prima di andare a dormire, non lasciare scorrere l’acqua e via dicendo, ma secondo me è grigia. Non l’acqua, la situazione.
La seconda riflessione, più sobria: non mi piace andare in giro. Prima che la città si assopisca la sera (perché al di là di quel che dicono di New York, anche Londra non dorme mai veramente), sembra tutto quasi normale. Ti sei alzato, sei andato al lavoro, ti sei magari incontrato con qualche amico emigrato (e Dio li benedica!), magari hai conosciuto un cameriere italiano ed alla fine sei ritornato nella stanza. Ed hai chiuso la porta. Non ci fosse quel silenzio tombale, sarebbe quasi piacevole: rilassarsi, star tranquilli, insomma… Prender fiato.
Invece fa proprio schifo.
Continuo a non capire quelli che lo fanno sistematicamente. Ogni settimana via, un letto non tuo, una casa non tua, facce diverse ovunque.
Del resto però siamo sempre tanti, guai ad esser tutti uguali.
Peraltro già le sento le voci “Ma fatti un giro, guarda Westminster, guarda il parlamento, guarda questo, guarda quello”, e li capisco, giuro.
Solo… Cosa cazzo me ne frega del Big Ben se di fianco non ho le altri parti del mio cuore?
Dio mio, che carie.