La pesciada

Più di venti anni fa ero ancora meno di niente. Su quel campo sperduto su in val Rendena eravamo solo io, te e una palla ovale. E io che provavo sti calci che finivano fuori e tu che mi dicevi “però laùra, perché te ghe l’e la pesciada”.
Poi ti sei ammalato, sei scappato via e allora ho cominciato a cercarti in ognuna di quelle “pesciade”. La palla a volte entrava, a volte usciva.
Tu invece, dalla mia testa, non lo hai mai fatto.
E ancora ti cerco. Quella stronza entra, esce, e io mi guardo intorno disperato e penso: dove sei? Perché cazzo mi hai lasciato qui così, dopo diciassette anni, a guardare se a bordo campo ci sei?
Non ne vengo a capo. Anzi, non ne verrò mai a capo.
Però oggi questa partita per cui mi fa male ogni singolo muscolo, ma in cui ogni singolo calcio è entrato la voglio dedicare ufficialmente, e pubblicamente, a te.
Lo so che un giorno ci rivedremo, prima o dopo, da qualche parte.
Preparati, perché sappi che te lo dirò: “Pà, te vist che pesciada?”.

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