Era partito male e sulle prime, son sincero, non ci credevo nemmeno io. Un bambino di sette anni, leggermente meno alto della media, non può dall’oggi al domani calciare un Pallone da Rugby sopra i pali.
Aggiungo anche che oggettivamente, non avendo mai avuto a che fare con palloni diversi da quelli ovali, la dimestichezza col piede è quella che è, risultato: poca, pochissima coordinazione. Fatto sta che se vedi qualcuno intorno a te fare il gesto tecnico senza problemi, se alla tele vedi sempre gente che fa solo quello e se, per l’appunto, sei un bambino, lo spirito di emulazione nasce da solo.
Quindi via col pallone ed un solo obiettivo: calciarlo sopra i pali.
Si diceva, poca fiducia.
Perché certe volte bisogna essere onesti, soprattutto se il pallone fai addirittura fatica a colpirlo.
Poi sei a fine allenamento e stanco, non ce la farai.
Io faccio finta di niente. Parlo con un vecchio amico. Seguo con lo sguardo da dietro i pali, ma è uno sguardo volutamente distratto, il bimbo mi sembra già piuttosto ansioso di suo su questa faccenda. Ed è strano questo, perché in genere è rotondo su tutto. Mai uno spigolo.
Ma l’aria oggi è diversa.
Un suggerimento, tienila in verticale, tieni le mani più basse, respira prima di calciare e concentrati sul movimento (sì, lo so, sono quattro suggerimenti).
Poi torno a parlare.
Stavolta il pallone sfiora il metro di altezza. Non aveva mai colpito il pallone così bene, o meglio, non si era mai superato il mezzo metro.
Ma superare i pali è tutta un’altra cosa.
“Va bene così, sei migliorato tantissimo, continuiamo il prossimo allenamento”.
Non mi risponde, ho paura che ci sia qualcosa di più sotto.
Torno a parlare.
Arriva un calcio buono, mi passa la testa.
“Bravo, ora però è tardi, dai devi fare la doccia”.
Non risponde ancora, corre, riprende il pallone e si rimette lì. Verticale, braccia basse, respiro.
Penso che ha tutta la vita per provarci, ha fatto dei progressi pazzeschi oggi, ma non ce la può fare. Era sotto il mezzo metro fino a mezzora fa.
Ne arriva un altro buono, poi un altro ancora.
Torno a parlare.
Son passati tre quarti d’ora, ma quello dopo fa la traiettoria giusta. Incredibile, forse… Niente. Palo. Porca vacca, palo.
Non dico più niente.
Si rimette lì. Verticale, basse, respiro.
Arriva quello buono. Passa sopra. Io, lo dico davvero, sono stupito.
Lui no, mi corre incontro, mi salta in braccio e stringe forte, senza dire nulla. Il respiro è affannoso, ma non piange, è forte.
“Doccia a casa, è tardi ormai” dico, ma intanto penso “Grazie”.